Chi investe in titoli di Stato di questi tempi?

L’FMI ha pubblicato di recente una relazione dal titolo “Government Bonds and Their Investors: What are the Facts and Do They Matter?” che ci aiuta a capire se i mutamenti avvenuti negli ultimi anni fra i detentori di titoli di Stato abbiano avuto un impatto sui rendimenti. Uno dei trend principali osservati dall’inizio della crisi consiste nel passaggio di mano dagli investitori esteri a quelli locali. Ciò si spiega in parte con le varie forme di quantitative easing messe in atto dalle banche centrali e con l’acquisto di un maggior numero di obbligazioni governative da parte degli istituti di credito.

L’FMI individua un nesso fra la percentuale più elevata di investitori esteri e il calo dei rendimenti. I risultati econometrici evidenziano che un incremento (decremento) del 10% degli investitori non residenti nel Paese è associato a un calo (aumento) dei rendimenti dei titoli di Stato decennali compreso fra 32 e 43 punti base – e addirittura prossimo a 66 punti base nell’area euro. Alla luce di tale conclusione, consideriamo ora la quota di investimenti esteri sui mercati obbligazionari governativi dei vari Paesi.

Il primo grafico mostra chi sono i detentori del debito pubblico di Australia e Giappone. Abbiamo già espresso i nostri timori circa la concentrazione di bond australiani in mani straniere. Una situazione a nostro parere molto pericolosa, soprattutto se associata a un disavanzo delle partite correnti (il Paese fa cioè affidamento sull’afflusso di capitali esteri). Dal 2000 a oggi, gli AGB detenuti da soggetti non residenti in Australia sono passati dal 30% circa a oltre l’80%. In Giappone, al contrario, la quota di investimenti esteri è molto bassa, in quanto i risparmiatori locali tendono a investire soprattutto sul mercato interno in vista della pensione. La prevalenza di obbligazionisti residenti nel Paese è stata messa in relazione con rendimenti stabili e contenuti nonostante un debito pubblico altissimo.

 In molti Paesi, gli investitori esteri, seppure in calo negli ultimi anni, rappresentano la maggioranza dei detentori di titoli di Stato. È il caso, in particolare degli Stati membri dell’Eurozona. Aggregando i dati dei singoli Paesi dell’area, si vedrà che circa un quarto del debito circolante è nelle mani di soggetti residenti in Stati dell’Unione monetaria diversi da quello emittente, mentre un altro quarto è detenuto da investitori esterni all’eurozona. Nonostante una percentuale di investitori extra-UEM in apparenza molto alta, nel complesso l’eurozona è meno dipendente dagli acquirenti esteri di quanto non lo siano Inghilterra e Stati Uniti.

Pur presentando percentuali analoghe di investimenti esteri, USA e Regno Unito evidenziano notevoli divergenze nelle partecipazioni di compagnie assicurative, fondi pensione e banche locali. Nel Regno Unito, i rendimenti a lungo termine hanno subito una flessione in seguito all’aumento della sottoscrizione di Gilt da parte dei fondi pensione. Tale rotazione, in particolare verso le emissioni a lunghissima scadenza, è stata attribuita ai cambiamenti normativi introdotti per limitare la differenza di scadenza fra attivo e passivo dei fondi pensione inglesi. Negli Stati Uniti, l’ampia porzione di partecipazioni infragovernative è in parte riconducibile al Social Security Trust Fund, che detiene il 20% circa dei Treasury in circolazione.

L’altro dato interessante dello studio dell’FMI riguarda i detentori di Treasury non residenti negli USA. L’ammontare totale del debito pubblico americano in mano a Cina, Paesi esportatori di petrolio e altri mercati emergenti è in calo dal 2010. Detto ciò, ad agosto 2011, gli investitori esteri detenevano quasi $5.000 miliardi di Treasury.

Il valore e il reddito degli asset del fondo potrebbero diminuire così come aumentare, determinando movimenti al rialzo o al ribasso del valore dell’investimento. Possibile che non si riesca a recuperare l’importo iniziale investito. Le performance passate non sono indicative dei risultati futuri.

Anthony Doyle

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