High yield: va bene l’ottimismo, ma attenti agli abbagli

Ho partecipato di recente alla conferenza annuale di JP Morgan sull’alto rendimento USA. È uno dei migliori eventi in circolazione: pubblico numeroso, oltre 150 società rappresentate, tavole rotonde e presentazioni di specialisti. Per questo gli argomenti trattati danno un’idea aggiornata di cosa pensa il mercato.

Prevedibilmente, molte delle argomentazioni rodate a favore dell’high yield sono ricomparse di nuovo, con diverse relazioni incentrate sugli aspetti descritti di seguito.

  • Il tasso di default strutturalmente basso (vedi il grafico sotto), in larga misura per effetto della politica accomodante della banca centrale, del rischio di rifinanziamento limitato e della crescente maturità degli investitori, con conseguente sovra-compensazione degli spread.

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  • Proiezioni secondo cui l’high yield statunitense è destinato a sovraperformare altre asset class a reddito fisso nel 2014, con guadagni del 5-6% (e i prestiti a leva destinati probabilmente a rendere il 4,5%).
  • Margine di ulteriore contrazione per gli spread dato che sono tuttora a oltre 100 punti base di distanza dai minimi del 2007. Livello attuale di 378 bps contro i 241 di maggio 2007.
  • Il fatto che la maggior parte delle emissioni negli Stati Uniti sia riconducibile a operazioni di rifinanziamento, piuttosto che a nuovi prestiti. Il rifinanziamento ha costituito il 56% delle emissioni nel 2013, una quota inferiore al 60% del 2012.
  • L’esigenza di reddito in un ambiente di tassi d’interesse bassi sta fornendo un solido supporto tecnico, testimoniato dall’afflusso di oltre 2 miliardi di dollari dei fondi comuni nel mercato high yield statunitense da inizio anno. La domanda ampiamente superiore all’offerta per la grande maggioranza delle nuove emissioni è un aspetto importante che caratterizza questo mercato già da qualche tempo.
  • La duration breve connaturata all’asset class, particolarmente attraente in un ambiente di tassi potenzialmente in aumento. La duration modificata per l’high yield statunitense ed europeo è di 3,5 e 3 anni rispettivamente. A confronto, il livello per i titoli equivalenti di categoria investment grade è di 6,5 e 4,5 anni.

Ora, queste sono tutte argomentazioni valide a favore dell’asset class e io stesso sono convinto che l’alto rendimento USA sarà probabilmente una scelta vincente in ambito obbligazionario nel 2014. Tuttavia, mi ha sorpreso che non si sia praticamente parlato delle difficoltà che si prospettano per questa classe di attivi.

Ad esempio, le presentazioni hanno glissato sul fatto che i prezzi incorporano già gran parte delle buone notizie, almeno dal punto di vista dei tassi di inadempienza. Difficilmente il mercato reagirà con sorpresa a un altro anno di default al di sotto del 2%: il rischio risiede piuttosto nell’eventualità di un tasso di default più alto di quello previsto dal consenso, per quanto l’ipotesi risulti remota al momento.

Altri possibili aspetti problematici sono, ad esempio, la liquidità (nonostante i progressi in confronto al periodo immediatamente successivo alla stretta creditizia, le banche di investimento sono ancora restie a offrire liquidità, dati i pesanti oneri di capitale cui devono fare fronte e i rendimenti bassi disponibili attualmente); la carenza di leva disponibile per gli investitori finali, rispetto al 2006-2007, quando le banche avevano la capacità, la solidità e tutta l’intenzione di concedere a quegli investitori prestiti a margine; e infine la convessità negativa sempre più accentuata con cui il mercato deve fare i conti.

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Con i titoli high yield statunitensi già scambiati a un prezzo medio di 105 e quelli europei addirittura a 107 (vedi grafico sopra), la minaccia incombente di rimborso anticipato è destinata a limitare ulteriori apprezzamenti del capitale. E, ovviamente, l’altro lato della medaglia di questi prezzi alti sono i rendimenti complessivi bassi. Con un livello intorno al 3,8% sull’indice dei titoli high yield non finanziari europei e al 5,2% sull’indice high yield statunitense, l’unico dubbio per gli investitori è quanto più in basso possano arrivare.

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Forse in questo ambiente, con l’inflazione che viaggia comodamente al di sotto del 2%, gli investitori dovrebbero accettare che un rendimento nominale del 5-6% non è neanche così male. Detto questo, i guadagni quest’anno probabilmente saranno trainati dalle cedole, più che dall’apprezzamento del capitale, e potrebbero risultare magri in confronto agli anni passati. Come ho già detto in precedenza, resto ottimista sull’high yield, ma dopo i rendimenti stellari degli ultimi anni, dobbiamo fare attenzione a non prendere abbagli.

Il valore e il reddito degli asset del fondo potrebbero diminuire così come aumentare, determinando movimenti al rialzo o al ribasso del valore dell’investimento. Possibile che non si riesca a recuperare l’importo iniziale investito. Le performance passate non sono indicative dei risultati futuri.

Stefan Isaacs

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