Il miglioramento del mercato del lavoro statunitense è quantitativamente enorme, ma qualitativamente mediocre

La situazione del mercato del lavoro negli Stati Uniti è uno degli argomenti scottanti nel dibattito in corso sul rialzo dei tassi da parte della Fed (“lo faranno/non lo faranno”), e come mostra l’indice delle Sorprese economiche di Bloomberg, questo settore è l’unica area dell’economia che ultimamente va meglio del previsto.

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Gli indicatori del mercato del lavoro continuano a sorprendere in positivo e in particolare quelli sull’occupazione risultano vigorosi in base a molti parametri. Il numero di richieste iniziali di sussidi di disoccupazione è diminuito a 282.000 (stima di mercato: 290.000), la media su quattro settimane è scesa di 7750 unità a 297.000 e il numero di richieste continuative di sussidi di disoccupazione è passato a 2,416 milioni, con un calo di 6000 unità. L’anno scorso abbiamo scritto un post sulla diminuzione delle richieste iniziali di sussidi di disoccupazione, notando che il numero assoluto in sé sottostimava la forza del mercato del lavoro, dato che come percentuale della popolazione statunitense in età lavorativa, questa statistica aveva raggiunto minimi pluridecennali. Se consideriamo le richieste iniziali di sussidi di disoccupazione come un indicatore del flusso di lavoro, che andamento ha avuto lo stock di lavoro (misurato dalle richieste continuative di sussidi)?

Il grafico in basso mostra sia il flusso che lo stock di lavoro come percentuale della popolazione in età lavorativa, ossia fra i 15 e i 64 anni. Mentre le richieste iniziali di sussidi di disoccupazione hanno oscillato nella fascia 0-0,5% negli ultimi quarant’anni, le richieste continuative si sono mosse prevedibilmente in un intervallo molto più ampio. Tuttavia, ciò che sorprende è che le richieste successive come percentuale della forza lavoro non sono diminuite (1,22% all’inizio di quest’anno) rispetto agli anni di boom al cambio di secolo.

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Storicamente, il ciclo delle richieste continuative ha toccato il minimo quando la Fed ha raggiunto l’apice del ciclo di contrazione monetaria (è accaduto negli ultimi anni ’80, nei primi 2000 e nel 2007). Negli ultimi anni, però, abbiamo visto una deviazione dalla tendenza, con un miglioramento del mercato del lavoro senza la corrispondente contrazione della politica monetaria. A quanto pare, in termini storici, la Fed è dietro la curva. Ma il nuovo dilemma è che la crescita della retribuzione oraria media è stata del 3,8% nel primo trimestre del 2000, contro appena l’1,6% attuale. L’aumento modesto delle retribuzioni e il livello ancora elevato della disoccupazione U6 (che include i lavoratori scoraggiati e quelli che lavorano meno di quanto vorrebbero) in rapporto al livello complessivo, fanno pensare che l’assenza di un rialzo dei tassi da parte della Fed sia dovuto alla preoccupazione per la qualità, più che la quantità, dei posti di lavoro.

Il valore e il reddito degli asset del fondo potrebbero diminuire così come aumentare, determinando movimenti al rialzo o al ribasso del valore dell’investimento. Possibile che non si riesca a recuperare l’importo iniziale investito. Le performance passate non sono indicative dei risultati futuri.

Anjulie Rusius

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