Dopo un avvio turbolento, la seconda metà del mese di agosto è stata molto più tranquilla per i mercati finanziari. Anche se le tensioni geopolitiche non sono svanite, al momento la fiducia degli investitori è sostenuta dalle prospettive economiche favorevoli negli Stati Uniti e dai tassi d’interesse che si profilano ancora bassi. I mercati mondiali delle azioni e del credito hanno continuato a registrare progressi nella settimana, con vari indici azionari statunitensi saliti a nuovi massimi storici.
Il primo intervento di Jerome Powell da presidente della Fed, al simposio annuale di Jackson Hole, è stato senza dubbio l’evento clou in una settimana altrimenti piuttosto piatta. Il messaggio principale è stata l’aspettativa di “ulteriori graduali” rialzi dei tassi d’interesse, alla luce di un’economia statunitense che continua a rafforzarsi. Tuttavia, il nuovo presidente della Fed ha sottolineato anche l’assenza di pressioni inflazionistiche e gli scarsi segnali di surriscaldamento dell’economia, commenti che sono stati interpretati come indicativi di un atteggiamento da colomba, tanto che i rendimenti sui Treasury USA a 10 anni sono scesi al minimo degli ultimi tre mesi dopo il discorso. Nel frattempo, è proseguito l’appiattimento della curva dei Treasury USA e il differenziale di rendimento fra le scadenze a 10 e a 2 anni si è ridotto a meno dello 0,2%. Comunque i governatori della Fed hanno dichiarato apertamente l’intenzione di non approvare misure tali da appiattire volutamente la curva, con un’altra mossa leggibile in chiave accomodante.
Sono stati giorni generalmente positivi anche per gli asset dei Paesi emergenti, dove i prezzi petrolieri sempre robusti e il declino del dollaro USA hanno offerto un gradito impulso. Quasi tutte le valute EM si sono rafforzate nella settimana, a parte una o due eccezioni. Il real brasiliano è crollato sui timori di una possibile nuova candidatura dell’ex presidente Lula, che attualmente sta scontando una condanna a 12 anni per corruzione. Anche il peso messicano ha perso terreno nel corso della settimana: dopo il rally iniziale in scia alla notizia del raggiunto accordo fra USA e Messico per il rinnovo del NAFTA, c’è stata una brusca inversione di rotta quando l’assenza di dettagli ha sollevato dubbi anziché dare risposte.
Su
Mercato del debito societario dei Paesi emergenti: sta diventando più vasto e più efficiente? Secondo le previsioni, il mercato del debito societario emergente archivierà un altro anno di crescita continua, man mano che i Paesi della regione chiudono la distanza con i mercati sviluppati in termini di penetrazione finanziaria e le aziende EM fanno progressi sul fronte della governance. Tuttavia, la crescita ha determinato anche un aumento degli emittenti high yield (HY), che ora rappresentano quasi il 40% dell’universo totale, come si vede nel grafico. Questa situazione, insieme al legame naturale con i titoli sovrani, accentua la vulnerabilità agli shock esterni o idiosincratici: le crisi recenti in Argentina, Russia e Turchia, ad esempio, hanno portato gli spread dell’indice JP Morgan Corporate EM Bond (CEMBI) a 340 punti base (pb) sui Treasury, il livello più alto dai tempi della vittoria elettorale di Trump nel 2016 (con la correzione sui titoli EM innescata dai timori di altre barriere commerciali). Le crisi di quest’anno finora hanno trascinato verso il basso l’indice JPM CEMBI in misura del 2,3%, anche se non sono mancate performance positive messe a segno da Paesi specifici, tra cui Nigeria, Ghana, Ungheria, Bahrain e Paraguay. Per un’analisi delle valutazioni dei titoli corporate EM, si rimanda al post del gestore M&G Charles de Quinsonas, “High Yield dei mercati emergenti: c’è valore dopo la correzione?”, o e al video di Charles su: “Debito corporate dei Paesi emergenti: una correzione indiscriminata?” (in inglese). Per informazioni su come individuare opportunità nei mercati dei titoli societari EM meno rinomati, si consiglia il video di Mario Eisenegger di M&G: “Racconti dal Cile e altri EM poco osservati”.
Obbligazioni messicane – tanto di sombrero. Quando il debito messicano e la valuta nazionale sono crollati a novembre 2016 dopo l’elezione di Trump, pochi immaginavano che i bonos del Paese sarebbero stati l’asset class obbligazionaria con la seconda migliore performance sulle 100 considerate, nei primi otto mesi del 2018, con un rendimento totale dell’8,1%, battuta soltanto dai titoli USA garantiti da mutui residenziali non emessi da agenzie. I timori di una guerra commerciale fra Stati Uniti e Messico si sono dissipati quando negli ultimi mesi i negoziati fra i due Paesi per l’approvazione di una nuova versione del NAFTA (Accordo nordamericano di libero commercio) hanno imboccato una strada promettente. Gli investitori sono stati incoraggiati anche dall’andamento recente dell’inflazione, scesa sotto la soglia del 5% da marzo. Alcuni osservatori di mercato ritengono che l’inflazione abbia raggiunto il picco al 6,7% alla fine dell’anno scorso, per poi seguire una traiettoria più positiva. Il presidente entrante López Obrador è riuscito anche a placare le ansie legate ai deficit in ascesa, impegnandosi alla prudenza in tema di finanze pubbliche.
Giù
Deficit commerciale USA: la crescita conta. Tentare di stimolare la crescita dell’economia e aprire più fronti di guerra commerciale per ridurre il disavanzo esterno del Paese è più facile a dirsi che a farsi: come si vede nel grafico, la crescita economica (linea arancione) è piuttosto correlata con la bilancia commerciale (linea blu) – maggiore è la crescita e più ampio sarà il deficit commerciale, e viceversa. Questo succede perché la crescita incoraggia le importazioni dall’estero e nel contempo contribuisce all’apprezzamento della valuta locale, che rende le esportazioni meno competitive. Secondo uno studio condotto dal Fondo monetario internazionale (FMI), uno shock fiscale positivo pari all’1% del GDP fa aumentare il disavanzo con l’estero di circa lo 0,7% nell’arco di 2,5 anni e, nel caso degli Stati Uniti, dà una spinta dell’8% al dollaro in un periodo di 1,5 anni. Peraltro, avere la valuta leader a livello mondiale di solito comporta l’onere di ritrovarsi un disavanzo corrente, dal momento che gli investitori e i governi stranieri devono acquistare asset statunitensi per costruire le loro riserve. Questo crea un avanzo del conto capitale che, per definizione, richiede un disavanzo corrente ai fini di una bilancia dei pagamenti equilibrata. Riassumendo: anche detenere la riserva valutaria del mondo, mantenere tassi d’interesse bassi e avere un saldo commerciale positivo e un’economia che cresce a ritmo sostenuto può rivelarsi più facile a parole, o a tweet, che a fatti.
Curva dei rendimenti: una fonte di ansia per gli investitori. Si è scritto molto sull’appiattimento della curva dei rendimenti USA tuttora in corso, con molti esperti, inclusa la Federal Reserve (Fed), pronti a sostenere che piatta non vuol dire invertita e che la minore inclinazione è una conseguenza naturale di un decennio di tassi ai minimi record. Altri affermano che questo indicatore di recessione ampiamente utilizzato è rimasto piatto per un periodo di cinque anni, verso la fine degli anni Novanta, e questa situazione potrebbe ripetersi. Mentre tutte queste teorie riempiono le pagine dei giornali finanziari, lo scarto fra i rendimenti dei Treasury USA a 2 e 10 anni continua a ridursi ed è sceso ormai ad appena 20 pb, il livello più basso da metà 2007, alla vigilia della crisi finanziaria.
Le banche turche si sono trovate al centro dell’attenzione nelle ultime settimane, quando la crisi di fiducia provocata dagli eventi politici ha messo gli investitori in fuga dalla lira (in calo del 38% da inizio anno contro il dollaro e del 26% da fine giugno, ultima data di rendicontazione delle banche) e provocato un deciso ampliamento dei rendimenti sui titoli governativi del Paese e uno ancora più marcato dei tassi sul debito non garantito delle banche.
Dal punto di vista dei fondamentali, ci sono validi motivi per guardare con preoccupazione al settore bancario turco, viste prospettive macro in deterioramento aggravate dalla debolezza strutturale.
– Squilibrio fra attività e passività. Le banche fanno affidamento sugli investitori esteri per una provvista fondi “stabile”, a causa del mercato del debito sottosviluppato a livello locale e della popolarità di cui godono in Turchia i depositi a breve termine. La scadenza media ponderata del debito estero è di circa 5 anni e deve essere rinnovata per finanziare prestiti a lungo termine ai debitori locali (il rapporto prestiti/depositi del sistema era vicino al 120% a fine giugno); finora le banche sono riuscite a rinnovare i finanziamenti (quota di rollover compresa fra il 90 e il 110% negli ultimi 5 anni), ma la capacità di farlo a costi ragionevoli dipende dalla fiducia del mercato.
– Esposizione in valuta estera. Le posizioni nette in valuta estera delle banche turche sono coperte fuori bilancio, nel senso che le posizioni aperte su cambi in generale sono prossime allo zero, ma per il rinnovo delle coperture si fa affidamento sulle banche estere. Questo non riduce i rischi indiretti per la qualità degli asset e il capitale che rappresenta l’esposizione a prestiti in valuta estera. Questi ultimi, che sono limitati alle società, rappresentavano il 36% del libro prestiti delle banche alla fine di giugno 2018. Non tutti questi debitori dispongono di liquidità e/o generano flussi di cassa in valuta estera, il che implica una minaccia per la qualità degli asset delle banche in una crisi valutaria protratta, quando sostenere i costi del servizio del debito diventa più difficile. Il deprezzamento della lira incide anche sui coefficienti di vigilanza: il patrimonio di base delle banche è prevalentemente in lire turche, anche se alcune hanno emesso debito subordinato in valuta estera che offre una parziale copertura; le grandi banche hanno rivelato che un deprezzamento del 10% della lira incide sull’adeguatezza patrimoniale e il Tier 1 (capacità totale) in media per 40-60 pb.
– Allentamento degli standard normativi. Oltre ad avere indebolito i fondamentali (buffer di capitale e qualità degli asset), questa situazione riduce la visibilità e mina la fiducia nei dati rendicontati. L’allentamento degli standard normativi è passato principalmente attraverso l’adozione di regole e requisiti meno stringenti per la ponderazione del rischio (ad esempio, è diventato lecito per le banche scegliere un’agenzia di rating più benevola per le ponderazioni dell’esposizione sovrana) e in materia di ristrutturazione e accantonamenti. Alcune delle misure più recenti, come la sospensione temporanea della valutazione mark-to-market dei portafogli di titoli disponibili per la vendita in ambito azionario e l’abbassamento del limite sulle operazioni di swap con banche estere, erano volte ad attutire l’impatto della correzione di mercato scattata sulle banche e frenare la svalutazione valutaria, eppure siamo convinti che il modo migliore per riconquistare la fiducia degli investitori sia mostrare un impianto robusto di norme e vigilanza sulle banche.
– Segnali concreti di un aumento dei prestiti ristrutturati presso le banche. Sono emersi segnali di surriscaldamento dell’economia, soprattutto l’anno scorso quando la crescita del PIL ha superato il potenziale (+7%), alimentata in parte dal piano di prestiti garantiti dal governo (circa 220 miliardi di lire turche nel 2017, pari al 7% del PIL). I prestiti bancari avanzano a un ritmo ampiamente superiore al 15% già da qualche tempo e la leva finanziaria delle imprese è deteriorata dal 63% all’85% del PIL fra il 2012 e il 2017 (fonte: BRI). Questa ascesa della leva è derivata in larga misura dal credito bancario che rappresenta quasi 3/4 del totale. Le banche hanno dichiarato un forte incremento dei crediti incagliati/ristrutturati (si veda il grafico), in parte a causa del passaggio ai nuovi criteri di rendicontazione (IFRS9), che impongono alle banche di rilevare le perdite in tempi brevi e sono state interpretate in modo variamente rigoroso. C’è stata qualche ristrutturazione di grandi aziende di alto profilo e sono emersi casi isolati di incongruenza nella rendicontazione della stessa esposizione.
Fonti: M&G, rendiconti di esercizio delle banche.
In questo ambiente, le banche a controllo pubblico o estero possono beneficiare di un supporto esterno se la crisi peggiora?
La volontà e la capacità di una banca controllante (e dei relativi azionisti) di offrire sostegno in termini di capitale e finanziamento è piuttosto imprevedibile, anche se le banche estere finora hanno aiutato le filiali turche. Per fare un esempio, nel 2017 BBVA ha acquisito una quota aggiuntiva del 9,95% in Garanti salendo a poco meno del 50%. A giugno, Unicredit ha iniettato 500 milioni di dollari USA in Yapi Kredi, controllata tramite una joint venture con un gruppo industriale turco. Il basso livello di debito pubblico (28% del PIL) indica che in teoria le risorse per sostenere le banche a controllo statale ci sono, ma queste sono state penalizzate dalla spinta del governo per stimolare i prestiti e il costo del rischio potrebbe essere stato sottovalutato. Infine ci sono anche criticità specifiche, con l’istituto a controllo statale Halkbank su cui grava la minaccia di sanzioni da parte degli Stati Uniti per le attività svolte in Iran.
È un ritorno della crisi dei primi anni Duemila?
Per quanto si possa essere tentati di fare paralleli fra oggi e l’ultima grave crisi bancaria e valutaria di due decenni fa, dal nostro punto di vista nonostante le difficoltà attuali, il sistema bancario appare diverso, il che non vuol dire che le tendenze del momento non siano preoccupanti. Oggi la vigilanza in generale è più rigorosa ed efficace e le banche mantengono pochissime posizioni aperte su cambi, anche se come già accennato, l’impatto indiretto delle esposizioni in valute estere è un aspetto da tenere ben presente. All’inizio degli anni Duemila, le banche erano scarsamente regolamentate e gli scandali di frode e corruzione con conseguenti fallimenti hanno minato la fiducia nel settore. Anche i bilanci delle banche erano piuttosto diversi, con una prevalenza di posizioni in titoli di debito governativo, finanziate da prestiti a breve termine. La liquidità scarseggiava e gli istituti più deboli si sono trovati costretti a svendere obbligazioni in cambio di contanti. Inoltre, non coprendo il rischio valutario, le banche hanno subito perdite legate ai cambi.
Fonti: BDDK, TCMB, relazioni delle banche, verbali di riunioni del management, BRI, Bloomberg, Commissione Europea.
Mario Eisenegger, Investment specialist di M&G, ci racconta da Santiago del Cile perché alcuni dei Paesi emergenti più dimenticati possono rivelarsi interessanti. Considerando la banca centrale cilena, ma anche solo passeggiando per le strade di Santiago, Mario ha la sensazione che sia opportuno guardare oltre i titoli dei giornali per scoprire le opportunità di valore e individuare eventuali rischi potenziali.
Questo video è in lingua inglese.
Negli ultimi 5 giorni di negoziazioni quasi tutte le asset class del reddito fisso globale hanno registrato un rialzo. A guidare, i titoli governativi delle regioni meridionali d’Europa, recentemente nell’occhio del ciclone, che sono balzati in avanti in seguito a notizie sconfortanti: il surplus commerciale dell’Eurozona è calato a giugno al suo minimo livello da 18 mesi, riflettendo la debolezza di uno dei principali motori di crescita dell’Europa, ovvero le esportazioni. Le vendite europee all’estero sono state penalizzate dall’euro in aumento, o dal dollaro USA in calo, una posizione favorita dal presidente Trump, nel suo intento di mantenere condizioni finanziarie flessibili e agevolare le esportazioni statunitensi. I legami presidenziali hanno continuato a spingere al ribasso il biglietto verde questa settimana, anche se questa volta forse non di proposito: L’ex avvocato personale di Trump ha ammesso contributi illegali alla campagna elettorale, mentre una giuria ha condannato l’ex manager della campagna elettorale del presidente per frode fiscale. Il rendimento del Treasury decennale, benchmark mondiale, è sceso a 2,81%, il livello più basso da maggio, trascinato al ribasso anche da un numero di nuovi cantieri edili inferiore alle attese nel mese di luglio e da un sentiment fiacco nel mese di agosto. L’indice manifatturiero di Philadelphia, largamente seguito, ha toccato una minima di 21 mesi. Le aspettative di inflazione statunitensi sono arretrate.
I mercati emergenti (EM) e le loro valute hanno registrato un rimbalzo sulla scia del dollaro in calo, a parte i Paesi toccati da difficoltà specifiche: il real brasiliano ha ceduto il 4% negli ultimi 5 giorni di negoziazioni, dopo che gli ultimi sondaggi per le elezioni di ottobre hanno dato in ritardo i candidati favorevoli al mercato. I sondaggi sembrano evidenziare sostegno all’ex (attualmente detenuto in prigione) presidente Lula da Silva. La lira turca ha continuato a risentire della crisi del Paese, del downgrade sovrano di venerdì e della decisione della banca centrale di non innalzare i tassi, una mossa favorita dagli investitori. Il rublo russo ha toccato una minima di due anni sul dollaro in calo, per via dei timori di nuove potenziali sanzioni da parte degli USA. Non perdere il blog del gestore di fondi M&G Claudia Calich “La Russia può sopportare nuove sanzioni USA?”
In rialzo:
Obbligazioni europee: Catastrofismo: Il debito sovrano dell’Europa meridionale si è impennato negli ultimi 5 giorni di negoziazioni: i bond italiani sono balzati in avanti dell’1,9%, quelli spagnoli dell’1,8% e quelli portoghesi dell’1,7%. I guadagni (comunque non sufficienti a portare le loro performance a un mese in territorio positivo) sono stati dovuti a una nuova battuta d’arresto delle speranze di crescita in Europa. Questa volta, il saldo commerciale della regione è caduto a 16,7 miliardi di euro, al di sotto delle aspettative e al livello più basso da gennaio dello scorso anno. Il dato è stato ostacolato da un leggero calo delle esportazioni, il primo in due anni, rilevante in quanto le vendite internazionali rappresentano quasi la metà del PIL della regione. Come si evince dal grafico, l’Eurozona registra un avanzo commerciale dal 2011, quando la crisi del debito sovrano in Europa stava trascinando l’euro verso il basso. Il surplus dell’Europa, che ha raggiunto un massimo nel 2016 con il deprezzamento della sua moneta nei confronti del dollaro, ha smesso di aumentare all’inizio del 2017, quando la crescita europea ha registrato un recupero e il dollaro ha ripreso a indebolirsi (area cerchiata). Se da una parte gli esportatori europei potrebbero perdere il sonno per il rally dell’euro di 2,2% di questa settimana, i detentori di obbligazioni periferiche della regione sono finalmente contenti, per ora.
Obbligazioni del Ruanda, l’ora del tè: Spesso trascurate da investitori date le dimensioni dei suoi bond in dollari, troppo modesti per essere inclusi nei principali indici obbligazionari, il principale bond internazionale del Ruanda ha visto cadere il suo rendimento a 6,56%, dal 6,7% il 13 agosto, stando ai dati Bloomberg. L’economia dell’Africa orientale dovrebbe crescere del 7% quest’anno, il livello più elevato dal 2014 e superiore al 5,3% dello scorso anno. L’inflazione dovrebbe calare al 2,9% dal 5,1% dello scorso anno, mentre il deficit delle partite correnti dovrebbe ampliarsi a 8,5% del PIL, su dal 6,8% dello scorso anno. Il franco ruandese ha perso il 2,9% rispetto al dollaro USA dall’inizio di quest’anno. Il Paese guadagna gran parte delle sue riserve di valuta estera attraverso esportazioni di tè e caffè, oltre che tramite turismo e industria mineraria.
In caduta:
Sovrani EM – i grandi dell’indice determinano ampliamenti degli spread EM: Dopo un decennio in cui sono stati percepiti come meno rischiosi rispetto alle obbligazioni HY statunitensi, gli spread dei sovrani EM sono aumentati in marzo rispetto a quelli delle compagnie statunitensi con rating “spazzatura”. Il divario tra i due, come si vede sul grafico, ha raggiunto 56 punti base (bps) la scorsa settimana, una massima di almeno un decennio. Il debito sovrano denominato in dollari USA ha perso il 3,8% per gli investitori quest’anno, in gran parte trascinato al ribasso dai pesanti titoli degli indici, i cui spread sono aumentati a causa delle difficoltà interne: La Turchia, per esempio, rappresenta il 3,3% dell’indice JP Morgan EM Bond (EMBI) Global Diversified, ampiamente seguito, il quinto peso più importante in un elenco di 67 paesi. Il suo spread sui titoli del Tesoro statunitense è più che raddoppiato, raggiungendo i 511 punti base (bps) negli ultimi sei mesi, quando la tendenza tra gli spread EM e US HY si è invertita a favore del parametro HY. Nello stesso periodo l’Argentina, l’undicesimo maggior peso dell’indice JPM EMBI, ha visto più che raddoppiarsi il suo spread, passato a 689 bps. Tuttavia, alcuni investitori affermano che la differenza tra i due sia dovuta anche al recente rally dell’HY USA. Per saperne di più leggi il blog del gestore di fondi M&G Stefan Isaacs’ “Spread HY, dietro le quinte.”
L’indipendenza percepita della Banca centrale: Il tributo di Jackson? L’economista e autore statunitense Paul Samuelson ha detto che la Federal Reserve statunitense (Fed) è prigioniera della propria indipendenza, poiché è una creatura del Congresso, che l’ha creata nel 1913. Alcuni investitori pensano che un tale legame sia il tributo che la Fed paga per la sua indipendenza – questa settimana messa in dubbio dal presidente Trump poco prima della riunione annuale della banca centrale a Jacksons’ Hole. La critica di Trump alla politica di rialzo dei tassi della Fed è così rara da parte di un Presidente che ha spinto al ribasso sia i rendimenti del Tesoro USA che la valuta statunitense. Mentre alcuni si aspettano una risposta dal Wyoming, altri credono che rispondere non sarebbe tipico della Fed.
Si sta molto parlando della forte contrazione degli spread High Yield USA, in particolare rispetto ai loro pari nell’Investment grade. La differenza tra i due, di 241 punti base (pb), è meno della metà rispetto a un decennio fa, portando alcuni osservatori di mercato a dedurne rapidamente che l’HY USA sia caro e che pertanto gli investitori dovrebbero preferire le obbligazioni investment grade. Ma è tutto qui?
Secondo me c’è dell’altro. Come si evince dal primo grafico, anche se è un dato di fatto che lo spread tra le due asset class abbia registrato una contrazione negli ultimi 10 anni (linea arancione), è vero anche che tale riduzione riflette inoltre una modifica sostanziale al profilo di entrambi: rispetto all’HY, il rischio tasso di interesse IG è aumentato nell’ultimo decennio (linea blu), esponendo maggiormente gli investitori in IG a un ambiente di tassi in aumento, come quello che stanno attualmente attraversando gli Stati Uniti. Questa situazione ha contribuito alla riduzione del divario tra le due asset class.
La contrazione degli spread HY-IG è inoltre riconducibile alle considerevoli variazioni della qualità del credito: come si vede nel grafico di seguito, il rating di credito IG più modesto, BBB, rappresentava il 33% dell’asset class 10 anni fa, mentre ora ne rappresenta il 48%. Invece, il segmento CCC, il più modesto per l’HY, rappresenta attualmente l’11,8% dell’universo HY USA, un calo dal 16,2% nel 2008.
Oltre ad avere in mano più rischio in termini di tassi di interesse e qualità del credito, gli investitori IG stanno anche affrontando fattori tecnici: come si vede nel terzo grafico, l’emissione IG è aumentata in misura stratosferica negli ultimi dieci anni, vista la corsa al mercato delle imprese, attratte da tassi estremamente modesti. Al contempo, l’emissione HY è rimasta stabile o è calata in quanto l’asset class ha risentito di alcune battute d’arresto, come il crollo dei prezzi petroliferi a fine 2014 (l’energia rappresenta circa il 15% dell’universo HY USA).
Con nessuna di queste ragioni si intende mettere in discussione la caccia al rendimento avvenuta in un periodo di stimolo monetario senza precedenti. Ma speriamo di essere riusciti a sottolineare come limitarsi semplicemente a paragonare gli spread IG e HY dell’ultimo decennio sarebbe eccessivamente semplicistico. Più che mai, il diavolo si nasconde nei dettagli. Gli spread HY sono relativamente più modesti rispetto all’IG, almeno in parte, in quanto la qualità di credito dell’asset class è migliorata, il rischio tassi di interesse è complessivamente rimasto invariato e i fattori tecnici non hanno creato particolari difficoltà.
Bentornati al nostro aggiornamento settimanale sui mercati obbligazionari. Questo lunedì, Charles de Quinsonas e Elena Moya analizzano alcuni dei temi principali sul mercato ad oggi con uno sguardo agli avvenimenti della prossima settimana.
Si noti che il video è in inglese.
L’attuale crisi finanziaria in Turchia, i rischi crescenti di ulteriori sanzioni USA sulla Russia e la rivalutazione delle obbligazioni HY cinesi (in seguito a default più elevati e alle crescenti tensioni sulle guerre commerciali) hanno tutti contribuito a un forte ampliamento degli spread del credito corporate HY dei Paesi emergenti (EM). Gli investitori vengono ora remunerati 525 punti base sui Treasury per investire in obbligazioni “spazzatura” EM, 170 punti base in più rispetto a fine aprile 2018. Questi livelli sono sufficientemente allettanti per gli investitori obbligazionari globali ed EM?
Su base relativa, il premio sull’HY USA sembra allettante: L’ampliamento degli spread HY EM delle ultime settimane è stato considerevole, in particolare rispetto alla buona tenuta dell’HY USA: L’EM offre attualmente un premio di oltre 160 pb sull’HY USA (grafico 1), mentre scambiava al di sotto della sua controparte USA qualche mese fa. Questi livelli, a ogni modo, potrebbero non riflettere i fondamentali reali. Ora, se guardiamo agli ultimi tre anni, gli attuali spread EM relativi all’HY USA, di 167 punti base, sono interessanti in quanto decisamente superiori a una media triennale di 75 pb.
I fondamentali societari continuano a stabilizzarsi
Questi livelli potrebbero rappresentare un buon punto di ingresso anche perché i fondamentali si sono stabilizzati o sono migliorati: tra il 2008 e il 2016, i livelli di debito EM HY sono saliti rapidamente, alimentati dagli stimoli monetari globali e dalla disponibilità di finanziamenti in dollari USA a buon mercato. Nel 2016, la leva delle imprese era salita a 5 volte l’EBITDA, su rispetto alle 2 volte di appena prima la crisi finanziaria 2007-08. Tuttavia, i livelli di debito societario EM si sono stabilizzati circa due anni fa, per via di una crescita globale sincronizzata e migliore, un balzo in avanti dei prezzi delle commodity e una disciplina finanziaria obbligata, che ha determinato investimenti patrimoniali inferiori. Il ritorno a utili più elevati negli ultimi 18 mesi, assieme a tassi di default modesti del 2-3% nell’HY EM, hanno aiutato gli emittenti di bond societari a ridurre la leva a 4,3x a fine 2017 (grafico 2). In Cina, per esempio, i livelli di leva sono caduti 2,9x lo scorso anno, pur restando a un non trascurabile 7,7x.
I rischi di una guerra commerciale sono in aumento…
Il gestore di fondi Claudia Calich ha recentemente discusso la vulnerabilità degli EM di fronte alle guerre commerciali. Anche se le tensioni commerciali o i rischi geopolitici raramente perturbano le operazioni di un business da un giorno all’altro, il primo e principale canale di contagio di rischi macro per le imprese è rappresentato dai tassi di cambio (FX). Per loro stessa natura, le società di HY gestiscono più disallineamenti debito/utili in FX rispetto agli emittenti investment grade.
Ciò li rende più vulnerabili a valute locali in discesa, in quanto aumenta il costo di rimborso di debito denominato in valuta estera. Ad esempio, in seguito al recente crollo della lira turca, alcuni mutuatari turchi potrebbero non essere in grado di far fronte ai propri obblighi in valuta estera, che rappresentano oltre un terzo dei prestiti erogati dal settore bancario del paese.
Gli ulteriori rischi geopolitici degli ultimi 12 mesi hanno pertanto implicazioni reali per i fondamentali obbligazionari societari. Inoltre, la fine dell’allentamento monetario da parte delle principali banche centrali, assieme a tassi USA e Libor più elevati, aggiungerà probabilmente pressioni sui crediti più deboli con necessità di rifinanziamento a breve termine in dollari USA.
…e le valutazioni potrebbero non essere così interessanti.
Anche se l’HY dei Paesi EM sembra più allettante dell’HY USA rispetto a sei mesi fa, le valutazioni degli spread di credito di entrambe le asset class sembrano indubbiamente molto modeste dalla crisi finanziaria globale (grafico 3), e ciò vale in particolare per l’HY USA: lo spread attuale di 358 pb sui rendimenti dei Treasury è decisamente inferiore alle media su 9 anni di 532 pb. Data la correlazione tra le due asset class, credo che se gli spread HY USA si ampliassero, l’HY EM dovrebbe ampliarsi anch’esso per mantenere un premio minimo rispetto agli USA. È importante notare come l’HY EM potrebbe anche avere ragioni idiosincratiche per ampliarsi da sé, dati gli attuali spread storicamente limitati, il rischio di contagio dovuto al “rumore” a livelli macro e la vulnerabilità ai tassi di interesse statunitensi in aumento. Gli spread di credito HY EM sono ancora più limitati se escludiamo la Turchia (spread medi di circa 700 pb), che rappresentano oltre l’8% dell’indice HY EM BAML> senza Turchia, gli spread HY EM sarebbero più vicini ai 500 pb, meno degli attuali 525 pb.
Sacche di valore
Nonostante la recente rivalutazione, e dati i livelli di mercato ancora rigidi, penso che ci potrebbero essere punti di ingresso migliori nell’EM HY. Fortunatamente, l’universo continua a offrire molte opportunità sia attraverso storie specifiche di credito o di aree indebitamente punite del mercato. Per esempio, abbiamo individuato buone opportunità sull’HY della Cina, per la prima volta in quattro anni, dopo la significativa rivalutazione dei prezzi del credito asiatico HY: lo squilibrio tra fondamentali aziendali decenti e macro preoccupazioni sulla guerra commerciale USA-Cina hanno reso più attraente l’asset class. Altrove, privilegiamo anche gli emittenti quasi sovrani, i cui fondamentali più forti non sono ancora pienamente riflessi dai rating del credito pubblico, in particolare nel segmento Oil & Gas. In questo contesto, mi aspetto che la selezione del credito sia sempre più critica nell’EM HY.
L’acuirsi delle tensioni diplomatiche tra Stati Uniti, Turchia e Russia ha innescato una correzione sui mercati obbligazionari globali che ha colpito in particolare i Paesi emergenti (EM), determinando una corsa ai titoli rifugio e una forte domanda di Treasury, obbligazioni svizzere e tedesche. L’avversione al rischio ha preso ancor più il sopravvento alla fine della scorsa settimana, quando la lira turca è crollata del 18% in due giorni in seguito alla scadenza del termine per il rilascio di un pastore statunitense e alla proposta di nuove sanzioni USA sulla Russia, data la presunta ingerenza del Paese nelle elezioni statunitensi. Le paure degli investitori si sono diffuse ad altri Paesi, portando le banche centrali di Argentina e Indonesia ad aumenti d’emergenza dei tassi in difesa delle loro valute. La bersagliata lira turca e il rublo russo, tuttavia, hanno causato perdite all’inizio di questa settimana, mentre gli investitori si chiedevano se la crisi fosse idiosincratica o un segnale di un problema più profondo – guardate il video “Markets go cold turkey” (I mercati danno un taglio netto alla Turchia) del fund manager M&G Wolfgang Bauer per ulteriori approfondimenti (in inglese).
I dati deludenti di luglio sulla Cina hanno peggiorato le cose: sia la produzione industriale che gli investimenti fissi sono stati inferiori alle aspettative, trascinando il renminbi a 6,91 unità per dollaro USA, il livello più basso dal gennaio 2017. Poche asset class sono sopravvissute alla settimana di tumulto, con oltre la metà dei cento settori obbligazionari osservati da Panoramic Weekly che hanno postato risultati negativi. Tra i titoli brillanti figurano i Treasury a lunga scadenza, su dell’1,2% negli ultimi 5 giorni di negoziazione, nonostante le cifre di forte inflazione statunitense emerse venerdì. Anche le obbligazioni UK indicizzate all’inflazione a lunga scadenza sono balzate in avanti. Le banche europee con esposizione alla Turchia e al debito sovrano italiano invece, colpite dalle incertezze di bilancio, sono scivolate. Il petrolio è sceso a una minima di quasi un mese per timore che barriere commerciali nuove e proposte possano indebolire l’economia globale. Il Giappone e l’Eurozona invece, hanno messo a segno una crescita del PIL superiore alle aspettative.
In rialzo:
Societari asiatici – una buona crisi: Come spesso accade in fasi di turbolenza, le obbligazioni governative e societarie asiatiche hanno generato una performance migliore rispetto alla media EM, dati i loro fondamentali spesso più positivi: Dalla crisi valutaria del sud-est asiatico nel 1998, in parte provocata dai deficit delle partite correnti stratosferici, quasi tutti i Paesi EM asiatici hanno ricostruito le proprie economie, riducendo i deficit e concentrandosi sulla crescita interna. Il premio al rischio che gli investitori ricevono per detenere debito corporate asiatico rispetto a Treasury USA, già inferiore ai suoi equivalenti dell’est Europa, dell’America latina e dell’Africa, è cresciuto appena di 4 punti base negli ultimi cinque giorni di negoziazione, una cifra irrisoria rispetto al salto visto in altre regioni EM, come si evince dal grafico. L’ampliamento di spread è stato minimo nei Paesi concentrati su esportazioni o sui consumi interni, quali Cina e Corea del Sud, con eccezione dell’Indonesia, il cui deficit delle partite correnti in aumento rende il Paese più vulnerabile agli shock esterni. Con un rendimento del 5,12%, ben superiore al 2,8% offerto dai Treasury decennali, o i rendimenti negativi ancora prevalenti in Europa, gli investitori continuano ad essere attratti dal debito asiatico.
Obbligazioni – opzioni call alla ribalta: Nel mese di agosto, tradizionalmente caratterizzato da una modesta liquidità, gli investitori hanno cercato rifugio nei mercati dei future e delle opzioni, che permettono loro di negoziare il rischio, o la mancanza dello stesso, associato con un asset sottostante, senza la necessità di possedere l’obbligazione fisica. Le opzioni call per acquistare Treasury o bund sono state negoziate più di qualsiasi altra opzione sovrana, con i prezzi in aumento fino all’1,8%, nel caso dei Treasury, e fino all’1,4% per i bund. Ciò implica che gli investitori si aspettino un aumento futuro del prezzo dell’asset fisico. A quel punto avranno il diritto di acquistare l’obbligazione al prezzo stabilito oggi, vendendolo a un prezzo superiore in futuro.
In caduta:
EM – correzione indiscriminata? Quasi tutte le valute EM sono crollate e i rendimenti dei titoli di Stato si sono impennati negli ultimi cinque giorni di negoziazioni, riflettendo i crescenti timori degli investitori sull’asset class in seguito alla tensioni in Turchia e Russia. Il peso messicano, lo zloty polacco, il real brasiliano e il rand sudafricano hanno tutte perso oltre il 4% rispetto al dollaro USA in ascesa, anche se in alcuni casi non è successo nulla di specifico in questi Paesi. Tuttavia, e come si evince dal grafico, le valute dei Paesi con un surprlus delle partite correnti hanno sofferto un po’ meno di Argentina, Turchia e Sudafrica, tutti più dipendenti dal capitale estero. Nel caso della Russia, il rublo è scivolato in seguito alla proposta di nuove sanzioni USA sul Paese, ma con un surplus estero e dati gli attuali elevati prezzi petroliferi (la Russia è un grande esportatore) alcuni sostengono che l’effetto delle nuove restrizioni potrebbe non essere drammatico quanto la valuta sembra indicare: leggi il blog di Claudia Calich, gestore di fondi:La Russia può sopportare nuove sanzioni USA?
La Fed e Trump – opinioni divergenti: Durante una settimana in cui il presidente USA Trump ha annunciato nuove tariffe sui prodotti turchi e proposto nuove sanzioni alla Russia, un blog della Fed di New York ha reso noto che le tariffe sulle importazioni ridurranno probabilmente sia le importazioni che le esportazioni, mettendo in discussione i programmi di Trump di aumentare le tariffe per tagliare il deficit commerciale del Paese. Gli Stati Uniti hanno un deficit delle partite correnti pari al 2,3% del PIL. Stando alla Fed di NY, se da una parte i prezzi più elevati, derivati da un aumento delle tariffe, farebbero passare i consumatori a prodotti interni, un aumento dei costi di produzione renderebbe anche le esportazioni USA meno competitive, facendole diminuire di pari passo alle importazioni.
Dopo la pausa estiva, il Congresso statunitense dovrà rivedere diversi progetti di legge che prevedono ulteriori sanzioni nei confronti della Russia. Le proposte comprendono restrizioni aggiuntive sulle importazioni ed esportazioni russe agli Stati Uniti, nonché alle attività delle banche russe nel Paese. Verrà preso in considerazione anche un divieto, per i cittadini statunitensi, di effettuare operazioni su qualsiasi debito sovrano russo di nuova emissione con scadenze superiori ai 14 giorni. Le operazioni relative a debito pregressi rimangono invariate. Dall’inizio delle sanzioni statunitensi sulla Russia a inizio 2014, gli istituti finanziari e le imprese nel settore sono riuscite più o meno a gestire la situazione. Questa volta sarà diverso?
Se gli Stati Uniti approvassero il divieto che impedirebbe agli investitori statunitensi di finanziare il governo russo, molte banche e investitori europei farebbero probabilmente altrettanto, specialmente coloro che detengono operazioni in USA. Ciò ridurrebbe drasticamente i volumi di scambio giornalieri del nuovo debito.
Quanto sarebbe deleteria una situazione del genere per le necessità di finanziamento delle Russia? Come si evince dai due grafici seguenti, gli ammortamenti del debito sovrano russo si concentrano principalmente su obbligazioni locali denominate in rublo, note come “OFZ”. La banca centrale stima che circa il 28% di queste obbligazioni sia attualmente detenuto da non residenti, come si può notare nel secondo grafico.
Grafico I: Scadenze imminenti del debito sovrano russo (in milioni di USD)
Grafico II: % di investitori non residenti in obbligazioni interne russe OFZ
Tuttavia, è possibile che la cifra relativa alla proprietà dei non residenti sia sottostimata se parte dell’esposizione è detenuta tramite strumenti sintetici, quali credit-linked notes, total return swaps, etc. Un’analisi dell’FMI sull’evoluzione e l’apertura del mercato interno russo ha evidenziato lo scorso anno il ruolo significativo degli investitori stranieri, soprattutto negli anni precedenti, come il 2012. Ma anche se esiste il rischio di sottovalutare la proprietà estera, gli investimenti nel debito locale russo tramite strumenti alternativi sarebbero inferiori al passato, quando gli investitori esteri potevano facilmente accedere al mercato locale e dovevano usare strumenti alternativi per guadagnare esposizione al debito locale russo.
Se si ipotizza che gli investitori statunitensi ed europei (comprese le loro partecipazioni indirette) detengano il 33% del mercato OFZ e, prudentemente, il 100% del debito in valuta estera, ciò starebbe a significare che la Russia potrebbe trovarsi di fronte a un deficit di finanziamento di circa 5-7 miliardi di dollari l’anno tra il 2019 e il 2013. Tuttavia, e sulla base di precedenti sondaggi tra gli investitori, i non residenti hanno investito probabilmente in titoli con scadenze a 5-15 anni, mentre gli investitori locali, banche incluse, tendono a favorire titoli a breve scadenza. Ciò darebbe alla Russia la possibilità di adeguarsi alle nuove sanzioni, qualora fossero approvate.
Inoltre, il recente recupero dei prezzi petroliferi e delle attività economiche ha permesso alla Russia di tornare a un surplus fiscale, che si aggiunge al suo longevo surplus delle partite correnti. Il grafico III evidenzia come le riserve in valuta estera della Russia, attraverso acquisti in dollari USA da parte della banca centrale, siano ritornate a 450 miliardi di dollari, appena inferiori al livello precedente alle sanzioni 2014. Se i prezzi del petrolio dovessero rimanere ai livelli attuali e se il potenziale nuovo ciclo di sanzioni non intaccasse materialmente la crescita economica a causa di uno shock di fiducia e di liquidità interna, le sanzioni proposte, pur con una battuta d’arresto, sembrerebbero in definitiva superabili per il forte bilancio della Russia.
Grafico III: Prezzi petroliferi elevati e solide riserve potrebbero aiutare la Russia a sopportare ulteriori sanzioni
Claudia Calich, gestore di portafogli EM, analizza i possibili effetti sulla regione di un’escalation delle tensioni commerciali fra Stati Uniti e Cina. Nonostante gli scontri diplomatici e le tante parole scritte al riguardo, Claudia sostiene che i prodotti fortemente richiesti, come i vini e i formaggi francesi, riusciranno sempre a trovare il modo di raggiungere il consumatore finale, oltrepassando qualsiasi tipo di barriera. Inoltre, spiega quali Paesi potrebbero essere favoriti o penalizzati dall’ambiente attuale e quali settori governativi e societari della regione EM risultano più attraenti.
Domande e risposte con il gestore di portafogli EM Claudia Calich
Ci sono vari canali che risentiranno di queste tensioni: i beni importati potrebbero diventare più costosi, le valute dei Paesi esportatori possono deprezzarsi e le decisioni di investimento potrebbero essere rinviate fino a quando non ci sarà maggiore chiarezza. Le guerre commerciali possono anche ridurre i consumi, se i prezzi più elevati non vengono assorbiti dalle aziende. Esiste anche il rischio di una stretta delle condizioni finanziarie, se calano gli investimenti diretti esteri o aumentano i premi al rischio su azioni e obbligazioni. Tutti questi fattori sono in grado di comprimere l’attività economica.
A questo punto, però, è difficile quantificare con precisione l’impatto delle tensioni attuali data l’impossibilità di cambiare o spostare da un Paese all’altro gli impianti di produzione e le catene logistiche globali dalla sera alla mattina. Se viene adottata una nuova tariffa, potrebbe essere più conveniente pagarla che non trasferire un intero processo di produzione dall’altra parte del mondo. Resta ancora da vedere se le imprese statunitensi saranno in grado di passare ai consumatori i costi aggiuntivi e se i consumatori saranno disposti ad accettare prezzi più alti. Ma è anche possibile aggirare i dazi: abbiamo visto di recente che quando la Russia ha eretto barriere di protezione su certi prodotti occidentali, i vini e i formaggi francesi hanno trovato un percorso alternativo attraverso diversi Paesi per arrivare alla destinazione finale. Potremmo vedere anche effetti indiretti, ad esempio se le tariffe imposte sui beni cinesi favoriscono le esportazioni messicane verso gli Stati Uniti – alcune case automobilistiche statunitensi, come Ford, hanno già una forte presenza in Messico.
Le commodity di recente si sono mosse verso il basso sui timori che le tensioni commerciali possano indebolire la crescita cinese, mettendo un freno alla domanda di metalli; ti aspetti ulteriori flessioni?
Potremmo vedere altri segnali di debolezza in risposta a un marcato rallentamento dell’economia cinese. Non dimentichiamoci, però, che l’avanzo corrente della Cina rappresenta appena l’1% del PIL attualmente, contro il 10% di dieci anni fa, essendo ancora in atto il processo di trasformazione dell’economia verso un modello trainato dai consumi e non più dalle attività di produzione ed esportazione. I prodotti primari importati dalla Cina tendono ad essere utilizzati in progetti infrastrutturali, più legati alla crescita interna, mentre i dazi riguardano soprattutto prodotti manifatturieri. Di conseguenza, la domanda di commodity non dovrebbe crollare come alcuni si aspettano, a meno che la crescita cinese non subisca un rallentamento particolarmente pesante a causa delle guerre commerciali e/o non si crei instabilità finanziaria dovuta alla risposta delle autorità sul piano delle politiche.
Cosa pensi di quei Paesi che esportano quantità notevoli di beni verso la Cina?
Questo aspetto va osservato dal punto di vista dei singoli Paesi. Ad esempio, il Cile, che è produttore di rame, ha un debito molto contenuto, una valuta con cambio flessibile e una situazione di disavanzo corrente che non presenta particolari preoccupazioni. Se i prezzi del rame dovessero crollare, la banca centrale dovrebbe innalzare i tassi d’interesse e potrebbe essere costretta ad accettare un deficit fiscale nel medio termine, ma il Paese avrebbe comunque gli strumenti per difendersi.
Altre nazioni, invece, potrebbero essere più vulnerabili. Lo Zambia, per esempio, ha deficit gemelli pesanti che implicano una minore flessibilità in uno scenario estremo.
Allo stesso modo, i Paesi con un debito denominato in dollari USA di ampie dimensioni subirebbero conseguenze se l’escalation delle tensioni commerciali dovesse spingere il dollaro verso l’alto.
Qual è lo scenario peggiore che potrebbe avverarsi?
La risposta della Cina sarà cruciale. Se i cinesi cominciano a usare la valuta come strumento di trattativa, forzando una svalutazione, le tensioni saranno accentuate e potrebbero creare instabilità finanziaria. Non si possono mai escludere le probabilità di “coda spessa” che si concretizzi uno scenario estremo destinato, con ogni probabilità, a creare un ambiente avverso al rischio, con spread in aumento e deficit più consistenti, ma non è questa la mia ipotesi di base.
Tuttavia, la Cina ha ribadito l’impegno a tutelare la stabilità finanziaria ed evitare il ricorso alla valuta come arma. Come in Cina, anche in altri Paesi della regione EM negli ultimi anni le banche centrali hanno migliorato la governance e acquisito maggiore credibilità e, fintanto che le risposte sono adeguate e comunicate in modo corretto, questa credibilità non dovrebbe essere intaccata (e lo stesso vale per la stabilità).
Abbiamo visto molti rialzi dei tassi nei Paesi EM finora quest’anno: è una reazione all’apprezzamento del dollaro USA? Ti aspetti altri incrementi dei tassi nella regione?
All’origine di tutte queste misure ci sono fattori specifici: Turchia e Argentina hanno innalzato i tassi per proteggere le rispettive valute, una misura resa necessaria dall’ampio disavanzo corrente e dalle pesanti esigenze di finanziamento. Nell’Europa dell’Est abbiamo visto tassi più alti perché in Paesi come la Repubblica Ceca, la Romania e l’Ungheria stanno emergendo segnali di surriscaldamento da cui deriverà un aumento dell’inflazione.
Ma alla luce dei dati recenti più fiacchi in Europa e in parte dell’Asia, e contrastati in USA, le aspettative sui tassi per quasi tutti i Paesi EM puntano a un incremento.
I tassi d’interesse più elevati nella regione EM sono già scontati?
Qual è la tua maggiore preoccupazione nell’area EM?
Alcuni Paesi, soprattutto quelli con merito di credito più debole, come l’Africa sub-sahariana, l’Argentina o il Bahrain, sono fortemente dipendenti da una crescita robusta e dai bassi rendimenti sul rifinanziamento per mantenere stabili i livelli di debito. Anche se abbiamo visto una riduzione su base ampia del disavanzo corrente in molte economie EM e possiamo definire completata quella parte del processo di ribilanciamento, sul fronte dei deficit fiscali i primi progressi stanno emergendo solo ora. Un ritmo di crescita più sostenuto sarà di aiuto, ma in alcuni casi c’è ancora molto altro da fare.
Al momento dove si possono individuare opportunità di investimento nei Paesi EM?
Dopo la correzione scattata sul credito cinese, gli spread hanno raggiunto livelli potenzialmente interessanti, soprattutto nel segmento immobiliare. Puntiamo anche su un’esposizione al mercato locale in Paesi dove i tassi reali o nominali risultano appetibili, come Brasile e Uruguay, o dove l’inflazione dovrebbe aver raggiunto il punto di svolta massimo, come in Messico. Nello spazio societario, diamo preferenza agli emittenti quasi sovrani del settore gas-petrolifero con fondamentali sani, ma anche ad alcune aziende di consumi in Perù e a società immobiliari in Messico. In termini di debito in valuta forte o locale, abbiamo un giudizio positivo sui titoli denominati in valute locali dopo il 2015, ritenendo che il rally del dollaro USA ormai si sia esaurito. Dopo l’ampliamento degli spread, il debito denominato nella valuta statunitense oggi quota a prezzi più attraenti rispetto ai mesi scorsi di quest’anno, e stiamo cominciando a trovare sacche di valore in quest’area. Come sempre, il mercato dei Paesi emergenti richiede una forte selettività.
Altri interventi di Claudia: guardate questo video recente su analisi da inizio anno e prospettive