Anche nella crisi Covid-19 i mercati obbligazionari cinesi mostrano resilienza

Il 21 aprile la banca centrale cinese (PBoC) ha annunciato un altro taglio, dal 4,05% al 3,85%, del tasso di riferimento sui finanziamenti a 1 anno, uno dei tassi di interesse principali. Questo ulteriore allentamento della politica monetaria dimostra che, mentre tenta di tirarsi fuori dalla crisi Covid-19, la seconda economia del mondo per dimensioni continua a subire forti pressioni interne ed esterne e mantiene prospettive altamente incerte. I dati pubblicati a metà mese sulla crescita del PIL, la produzione industriale, gli investimenti fissi e le vendite al dettaglio nel primo trimestre riflettono questa situazione: alcuni investitori vi hanno rilevato segnali di un’economia che comincia a risalire la china, altri una conferma del fatto che la domanda globale rimane depressa e che la riapertura dell’economia cinese dopo la serrata sarà un processo lento e graduale.

Per farsi un’idea più chiara di cosa riserva il futuro, può essere utile osservare la performance dei mercati finanziari cinesi. Dal punto di vista delle azioni, il mio collega Rob Secker ha condiviso le sue opinioni sul mercato cinese in un post recente (consultabile qui).

Per quanto riguarda il reddito fisso, data la segmentazione dei mercati obbligazionari cinesi e l’enorme ventaglio di asset disponibili, è naturale che le performance siano state molto divergenti.

I titoli di Stato denominati in renminbi (CGB) sono andati nel complesso relativamente bene quest’anno, sostenuti dalle mosse con cui la PBoC ha ridotto i tassi sui prestiti (loan prime rate, LPR) a 1 e a 5 anni, le linee di credito a medio termine a 1 anno (MLF) e i tassi sui reverse repo a 1 e 2 settimane. Inoltre la PBoC ha iniettato migliaia di miliardi di renminbi nel sistema bancario sia attraverso operazioni monetarie dirette, sia riducendo i coefficienti di riserva obbligatoria delle banche.

Nonostante quesi interventi, la banca centrale cinese ha adottato un approccio relativamente misurato nei confronti della crisi Covid-19, mantenendo quindi un margine di ulteriore allentamento della politica monetaria laddove la situazione dovesse peggiorare. Nel breve termine i titoli di Stato cinesi dovrebbero beneficiarne, soprattutto considerando che i rendimenti sui CGB restano più alti per esempio rispetto a quelli dei Treasury USA (attualmente i CGB CNY a 5 anni rendono il 2,0% e quelli a 10 anni il 2,6%). Detto questo, nonostante le remunerazioni più elevate in termini relativi, la liquidità nettamente ridotta dei CGB in confronto ai Treasury e le restrizioni residue al movimento dei capitali in Cina implicano un’alta probabilità che gli investitori globali siano ancora restii a incrementare in misura significativa la partecipazione al mercato dei titoli governativi cinesi denominati in CNY, almeno nel breve periodo.

Per quanto riguarda il renminbi, è stato uno dei protagonisti in positivo quest’anno, soprattutto se confrontato con altre valute dei Paesi emergenti, motivo per cui in termini di performance da inizio anno, i CGB si inseriscono fra i titoli di Stato migliori dell’indice JP Morgan Emerging Markets Local Currency (calcolato in dollari USA).

A seguito di questa sovraperformance, il CNY appare indubbiamente caro in rapporto ad altre valute emergenti (in particolare quelle che hanno subito forti flessioni quest’anno) e sembra destinato a sottoperformare se la fiducia nella domanda globale e nel superamento della crisi Covid-19 dovesse migliorare in modo deciso.

Nel complesso il CNY quest’anno si è indebolito contro il dollaro USA, superando di nuovo in tempi recenti la soglia dei 7 CNY per USD. Dal mio punto di vista, la ragione va ricercata più nel vigore del dollaro che non in una debolezza fondamentale del renminbi, le cui prospettive restano relativamente solide. Inoltre, la PBoC ha ribadito spesso che non intende svalutare intenzionalmente il CNY per dare impulso alla crescita, ma punta piuttosto a mantenere un cambio stabile nel lungo periodo: per questo, con il CNY scambiato adesso a un livello molto vicino ai minimi pluriennali contro l’USD, il potenziale di ribasso rispetto al biglietto verde appare per certi versi limitato e anzi, se le valutazioni del dollaro dovessero normalizzarsi, potrebbe emergere un buon margine di rialzo per la valuta cinese su quella statunitense.

Spostando l’attenzione sul credito, i mercati profondamente segmentati in Cina hanno comportato ancora una volta differenze di performance molto ampie quest’anno. Il mercato onshore in renminbi, nonostante gli alti livelli di debito di molte società a controllo statale, ha mostrato una buona tenuta durante tutta la crisi riuscendo persino a guadagnare qualcosa (in base all’indice S&P China Corporate Bond, che riflette in modo molto generale l’andamento del credito in Cina). Questa performance positiva è riconducibile in parte al fatto che molti investitori nel credito in CNY tendono a essere cassettisti, pertanto l’asset class non ha subito le stesse pressioni legate alle vendite forzate e le tensioni sui finanziamenti in USD che hanno sconvolto i mercati finanziari a marzo. Molti titoli denominati in CNY beneficiano anche in una certa misura di una garanzia statale implicita che rende il mercato generalmente più resiliente, anche se ci sono senza dubbio delle eccezioni.

Per le obbligazioni societarie di emittenti cinesi denominate in USD, gli spread si sono ampliati nel complesso in tutto lo spettro di rischio. Nel segmento investment grade, questo movimento è stato relativamente contenuto, con i titoli cinesi sovraperformanti quest’anno di oltre 100 punti base, in termini di spread, rispetto all’indice dei corporate IG dei Paesi emergenti, un risultato probabilmente giustificato in parte dalle discrepanze a livello di settore e fascia di qualità fra i titoli IG cinesi e l’indice in senso ampio, oltre che dalla tenuta storica generale del credito cinese. Nel complesso, però, significa che da un punto di vista puramente valutativo, per gli investitori orientati ai mercati emergenti ora ci sono più opportunità di acquisto allettanti al di fuori della Cina, una situazione accentuata anche dalla scarsa trasparenza di alcune compagnie cinesi e dai livelli di liquidità inferiori.

Per quanto riguarda le obbligazioni high yield cinesi in USD, dopo la pesante correzione e il rialzo degli spread al di sopra dei 1100 punti base a marzo, c’è stata una parziale inversione di questi movimenti e la media adesso si aggira intorno agli 850 punti base (indici JP Morgan CEMBI+). Si tratta in larga maggioranza di titoli emessi da società immobiliari con un’alta leva finanziaria che, essendo state direttamente colpite dall’epidemia, non sono esenti da rischi. Se però si focalizza l’attenzione su quelle con i bilanci più robusti, requisiti di liquidità inferiori e un accesso al finanziamento onshore, è possibile individuare su base selettiva qualche opportunità di investimento interessante.

In ultima analisi, anche se la crisi Covid-19 non ha precedenti e ha scosso profondamente i mercati finanziari, gli investitori possono sentirsi rassicurati dalla resilienza dimostrata quest’anno dalla valuta e dai titoli di Stato cinesi. Quanto al credito cinese denominato in USD, si possono individuare titoli appetibili da valutare caso per caso, soprattutto nell’area più speculativa dell’high yield. Certo, investire in Cina comporta dei rischi: a livello internazionale, il Paese resta nel mirino per il modo in cui ha gestito inizialmente la crisi ed è probabile che le tensioni commerciali emerse l’anno scorso tornino alla ribalta, prima o poi. Inoltre, non è ancora chiaro in questa fase se il virus si possa contenere con le sole misure di distanziamento sociale, isolamento e test su vasta scala. Fino a quando non sarà disponibile un vaccino o una cura efficace, resta il rischio di una seconda ondata di contagi.

Indipendentemente dai punti di vista personali, è importante continuare a osservare l’evoluzione della situazione in Cina, primo paese colpito dal virus che ora è riuscito a contenerne la diffusione (almeno temporaneamente) e sta procedendo nel percorso di normalizzazione e riapertura dell’economia.

Il valore e il reddito degli asset del fondo potrebbero diminuire così come aumentare, determinando movimenti al rialzo o al ribasso del valore dell’investimento. Possibile che non si riesca a recuperare l’importo iniziale investito. Le performance passate non sono indicative dei risultati futuri.

Pierre Chartres

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